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Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), V, 10
 
originale
 
10. Suscipit alia: "Ego vero maritum articulari etiam morbo complicatum curvatumque ac per hoc rarissimo venerem meam recolente sustineo, plerumque detortos et duratos in lapidem digitos eius perfricans, fomentis olidis et pannis sordidis et faetidis cataplasmatibus manus tam delicatas istas adurens, nec uxoris officiosam faciem sed medicae laboriosam personam sustinens. Et tu quidem soror videris quam patienti vel potius servili ? dicam enim libere quod sentio ? haec perferas animo: enimuero ego nequeo sustinere ulterius tam beatam fortunam allapsam indignae. Recordare enim quam superbe quam adroganter nobiscum egerit et ipsa iactatione immodicae ostentationis tumentem suum prodiderit animum deque tantis divitiis exigua nobis invita proiecerit confestimque praesentiam nostram gravata propelli et efflari exsibilarique nos iusserit. Nec sum mulier nec omnino spiro, nisi eam pessum de tantis opibus deiecero. Ac si tibi etiam, ut par est, inacuit nostra contumelia, consilium validum requiramus ambae. Iamque ista quae ferimus non parentibus nostris ac nec ulli monstremus alii, immo nec omnino quicquam de eius salute norimus. Sat est quod ipsae vidimus quae vidisse paenitet, nedum ut genitoribus et omnibus populis tam beatum eius differamus praeconium. Nec sunt enim beati quorum divitias nemo novit. Sciet se non ancillas sed sorores habere maiores. Et nunc quidem concedamus ad maritos, et lares pauperes nostros sed plane sobrios revisamus, diuque cogitationibus pressioribus instructae ad superbiam poeniendam firmiores redeamus."
 
traduzione
 
?'Ed io,' fece di rimando l'altra 'che mi devo sopportare un marito tutto rattrappito e sciancato dai reumatismi e che in fatto d'amore, quindi, mi fa fare lunghe astinenze. Devo sempre fargli le frizioni alle dita, contorte e indurite come pietre, irritarmi queste mie mani cos? delicate tra medicine puzzolenti, luride ben de e schifosi cataplasmi; altro che la moglie premurosa, l'infermiera mi son ridotta a fare. Tu, sorella, lasciatelo dire francamente, mi sembra che sopporti tutto questo con troppa pazienza, se non addirittura con la rassegnazione di una serva; io invece non so rassegnarmi all'idea che una fortuna di quel genere sia dovuta capitare a una che non ne ? degna. ?Prova a ricordarti con quanta superbia e arroganza ci ha trattate e come si vantava davanti a noi e come si compiaceva dentro di s?. ?In fondo in fondo, poi, che cosa ci ha dato? Poche scarabattole, se si pensa a tutti i tesori che possiede, e a malincuore per giunta; poi su due piedi si ? liberata della nostra presenza e a soffi e a fischi ci ha fatto portar via. Ma quant'? vero che sono una donna e che sono viva, io quella la tirer? gi? da tutta la sua fortuna. ?Perci? se anche tu, come dovresti, ti senti bruciare da quest'affronto, vediamo in due di tirar fuori qualche progettino efficace. ?Per prima cosa silenzio con tutti, genitori compresi, per quanto riguarda i doni che ci siamo portati via; anzi dobbiamo dire di non aver saputo nulla di lei se sia ancora viva o meno.: gi? troppo quello che abbiamo visto noi e che non avremmo voluto vedere, che non ? proprio il caso di andare a rivelare ai quattro venti o anche soltanto ai nostri genitori le sue fortune. ?Per fare, infatti, meno felice qualcuno ? sufficiente che nessuno conosca la sua fortuna. ?Ora per? torniamo dai nostri mariti, alle nostre case, povere quanto vuoi ma ospitali. Ci penseremo su con tutta calma e ponderazione e ritorneremo pi? risolute e decise a punire tanta superbia.'
 

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